venerdì 9 aprile 2010

Il parto di M.

(Post scritto una settimana dopo il parto, e mai pubblicato.)

Scrivo per ricordare. Ricordare meglio.
Com'è andata, mi chiedono tutti.
E' andata. E' andata bene, alla fine.
Ma sul cuore avevo un peso, perchè, anche questa volta, mi hanno indotto il parto.
Ma non me lo hanno indotto per via del tempo 'scaduto', come tre anni fa.
Me lo hanno indotto perchè pensavano avessi una rottura alta delle membrane.
Solo che, accanto a me, c'era un'altra ragazza, con le membrane rotte nella parte alta.
E lei, effettivamente, perdeva liquidi.
Io no.
In confronto a lei, io nulla.
E quindi il mio peso sul cuore, che ho osato sollevare solo la prima sera, cresceva.
Mi sono ricoverata la sera del ventitrè febbraio.
Quella notte piovve. Dalla finestra della sala travaglio guardavo le goccioline scivolare sul vetro.
Alle sei di sera, del ventiquattro, iniziarono le contrazioni, che sul Cardiotocografo venivano segnalate come intensità pari all'80%. Erano regolari ma distanti. Quindi assolutamente sopportabili.
Alle nove, erano più ravvicinate.
Alle dieci, piangevo dalla fifa, e respiravo per dovere materno.
Alle undici respiravo, e piangevo.
Alle undici e mezza, l'ostetrica che era di turno (e che era in disaccordo col medico di turno, evvai, la situazione ideale, quando devi andare in sala parto) mi visita e mi chiede se voglio andare in sala parto. Sì, ci volevo andare.

In sala parto, le contrazioni diventarono più violente, ma le sentivo lievi, rispetto a quelle che ricordavo di Ivan. Pensai fosse dovuto al fatto che non mi diedero l'ossitocina, e infatti avevo attimi di respiro tra una e l'altra.
Prima spinta: si rompono le acque (ecco, non avevo le acque rotte).
Seconda spinta: è ancora presto. C'è da lavorare.
Le spinte sono state tante, di più di quelle di Ivan (forse proprio a causa della mancanza di ossitocina esterna, ma questo è un pensiero che mi è venuto in mente dopo).
Mi dicono che se voglio che nasca il mercoledì 24 mi devo sbrigare.
Ma a me non me ne frega niente del tempo segnato da quell'orologio.
E infatti, a mezzanotte e cinque, di giovedì venticinque febbraio, Mattia è dolorosamente sgusciato fuori dal suo uovo caldo e sicuro.
Ha pianto, ma di un pianto vellutato.
Ivan urlò come un forsennato.
Già di là abbiamo appurato una certa diversità di temperamento tra i due fratellini..
Dopo averlo aspirato mi è stato letteralmente buttato sulla pancia.
E mentre era lì, e io gli parlavo, e sussurravo il suo nome, ha smesso di piangere, e ha girato la testa per guardarmi.
E lì, ho visto il mio tartarughino. Piccolo, forte ma indifeso.
Poi mi è stato portato via, e l'ho rivisto un paio d'ore dopo.
E abbiamo dormito l'uno accanto all'altra.
E al mattino ci siamo guardati lungamente negli occhi, e ci siamo parlati, riconosciuti, rincuorati, ritrovati.

--Post-Partum
Avevo tante paure sui primi giorni dopo il parto. Anzi, sulle prime settimane, ma anche mesi.
Francamente, rispetto al parto di Ivan, non mi pare proprio di aver partorito.
Ma questo già dal giorno dopo.
Complice anche il fatto di non aver avuto problemi a deambulare (problemi che invece ebbi dopo il parto di Ivan), o di aver fatto più spinte, ma meno potenti di quelle di Ivan, io ero in piedi, fresca e sorridente, già il mattino successivo.
Tutti infatti mi dicevano che avevo un viso completamente diverso da quello che avevo dopo il parto di Ivan (le foto testimoniano).

Tutto nella norma fino al sabato mattina.
Quando il pediatra che visita Mattìa per la dimissione, mi fece chiamare in ambulatorio, dicendomi che non potevamo andare a casa, ma che dovevamo fare qualche accertamento in più, per via di un particolare tremore che aveva notato, mentre il bimbo piangeva.

Ora, dopo due ecoencefalogrammi, un elettroencefalogramma, esami del sangue, e diversi pediatri che lo hanno tenuto in osservazione, è stato appurato che non era nulla di grave: probabilmente erano tremori emotivi. Aveva fame e sete (ancora non avevo avuto la montata lattea), e, soprattutto, era lontano da me (visto che quando era con me, era tranquillo).

Un brutto, terribile colpo al cuore, che pare passato, e che però mi ha lasciato una ferita ancora aperta, e che mi fa male, quando penso alle milioni di possibilità che qualcosa possa non 'funzionare correttamente' nella sua testolina, e che magari ce ne accorgiamo più in là.

Non a caso, questo post, ho iniziato a scriverlo più di un mese fa, ma non l'ho pubblicato subito.
La ferita si sta lentissimamente rimarginando, e la cicatrice me la porterò per sempre, sul cuore, sperando resti l'unica traccia, di quel brutto spavento.
Lui, Mattìa, cresce bene, dorme della grossa, e fa tutto quello che ci si aspetta da un cucciolo di appena sei settimane.
Ed è proprio questo, che mi fa rimarginare quella ferita.



2 commenti:

wasperina ha detto...

Non ti so dire che emozioni sto provando dopo la lettura di questo post, ho "sentito" addosso la paura che penso avrai provato ed è stato un tuffo al cuore.
Vedrai che questa resterà una cicatrice che verrà risanata giorno dopo giorno con l'amore e la gioia della famiglia.
Un abbraccio
Waspi

Carpina ha detto...

grazie wasp!